Per la meditazione di queso Primo Venerdì ho deciso di condividere con gli amici del blog alcuni pensieri del beato Paolo VI.
Il testo che vi propongo risale all'8 giungo 1956, quando era già da due anni alla guida della diocesi di Milano.
E' uno scritto interessante, perché ci spinge a guardare al "fondo essenziale" della devozione al Sacro Cuore. Psicologia, amore, Liturgia...sono temi trattati dall'allora arcivescovo Montini.
Essere devoti del Sacro Cuore non vuol dire fermarsi alla recita di piccole preghiere.
L'amore si manifesta nell'amore di ciò che esprime, manifesta e ci "dona" il mistero di Cristo, in modo particolare, la Vita Liturgica.
Buona lettura!
- L'INVITO DELLA DEVOZIONE AL SACRO CUORE -
un testo di Giovanni Battista Montini - Paolo VI
(tratto da "La devozione al Sacro Cuore nei discorsi di Papa Montini, ed. Lev)
"La devozione al Sacro Cuore di Gesù rivolge ai fedeli un duplice invito.
Primo, a conoscere Cristo in profondità, a conoscerlo nella sua interiore realtà.
Tante volte ricorre il nome cristiano che è diventato comune, quasi emblema delle cose anche più lontane dal Cristianesimo: si dà questo nome a tante cose, fatti e manifestazioni, arte, letteratura, ecc. che hanno, direi, solo una emanazione e un qualche segno di cristiano, e lì si ferma in gran parte l'attenzione della nostra cultura moderna, e possiamo dire purtroppo, di tanta superficiale religiosità.
Il Cuore di Cristo dice: non fermatevi qui, andate più in fondo, conoscete Cristo nella sua realtà, avvicinatevi a Lui, approfondite i suoi misteri.
Quando col catechismo alla mano siete arrivati a dire: E' figlio di Dio, non arrestatevi, provate questo arduo ma interessantissimo problema di psicologia, unico al mondo: esplorate che cosa questa psicologia nasconde, abissi, immensità, dolcezze, poesie, profondità che non potremmo commisurare.
E' una esaltazione che viene da questa contemplazione di Cristo, è una immensa atmosfera divina che sale da queste profondità cordiali del nostro Signore Gesù Cristo.
A questa prima conseguenza aggiungetene un'altra: non basta più per una religione di questo genere un culto esteriore fatto puramente di pratiche, numerabili e misurabili dal tempo e dell'orario e da alcune frettolose preghiere; occorre, anche per l'iniziato devoto, per colui che raccoglie l'invito del Cuore di Cristo, una religione interiore; occorre entrare con passi cauti, con l'anima attenta, colle meditazioni raccolte, colle profondità pronte a ricevere l'eco di queste immensità, che vengono a grado a grado rivelandosi a chi osa esplorare la psicologia, il Cuore di Cristo.
E, secondo, dove tende la devozione al Cuore del Signore? che cosa vuol suscitare? che religione vuol instaurare?
Davanti a Cristo presentato col suo Cuore noi dobbiamo concludere: il Vangelo è amore, l'Incarnazione è amore, la Passione è amore, l'Eucaristia è amore, la Chiesa è amore, la grazia è amore.
Tutto il disegno è suscettibile di questa sintesi che viene a porsi davvero davanti alle soglie di ogni anima come un atto urgente di amore: la carità di Cristo incombe sopra di noi, ci preme, ci sollecita, ci perseguita, ci vuole.
Ebbene, che cosa vuol suscitare?
lo sa chiunque, la cosa diventa semplice: quis non amantem redamet? diranno al Sacro Cuore, ma chi non amerà uno che ha tanto amato?
Un verso di Dante, ahimè, rifeto a ben altre cose, ma pur espressivo, dirà: amor che a nullo amato amar perdona, nessuno che si sente, che si sa amato, non può non ripagare con amore.
Questo è il fine della devozione al Cuore di Cristo: già noi conoscevamo essere il comandamento dell'amore a Dio il supremo dei comandamenti, l'unico dei comandamenti, perché ogni virtù e ogni bontà deve essere tributata a Dio per amore; se non lo fosse non sarebbe omaggio, non sarebbe osservanza del cuore, non sarebbe preghiera e culto come si deve.
Sapevamo che l'amore è un comandamento, cioè, una cosa che ci obbliga; il Signore è stato tanto buono da esigere da noi, come prima cosa, non il sacrificio del nostro cuore tanto attraente, gioioso, amoroso.
Il Signore si è voluto servire di questa predisposizione nostra naturale per farci suoi soci, per attirarci a sé, per stringere questo nodo definitivo della vera religione.
Vuole da noi non altre cose che il cuore.
Cuore chiama cuore, amore chiama amore.
Questa è la intenzionalità, il fine della devozione al Sacro Cuore.
Nessuno dica che questo linguaggio sia qualche cosa di molle, di sdolcinato, di devozionale, di effeminato e quasi di dolciastro: l'amore di Cristo non vuole sentimenti deboli, o sentimenti di seconda o terza categoria, vuole i sentimenti veri, vuole un amore forte, vuole un coraggio virile, vuole qualche cosa di grande dalla nostra anima, dalla nostra preghiera.
E non vi sia nessuno che creda di poter interpretare una devozione così grande, così regale, meglio che con le grandi ed ispirate parole della liturgia che non con delle piccole preghiere, tante volte arbitrare e tante volte anche letterariamente così poco felici.
Vuole espressioni grandi l'amore grande, vuole poesia, vuole canto, vuole fosse, vuole, ripeto, la solennità della sposa di Cristo che va a mattinar lo sposo, cioè, che canta i suoi inni, che si inebria dei suoi salmi, che apre le sue cattedrali, che risente la sua liturgia, che celebra il suo natale, che celebra la sua pascqua, che si inebria nella sua pentecoste.
La devozione al Cuore di Cristo non è una concorrenza, una sovrapposizione a questa pienezza di celebrazione del Dio fatto uomo.
Nessuno creda che questa devozione si sazi di piccole pratiche o di qualche cosa di esteriore o di numerico: si sazia di opere, si sazia di carità tradotta in opere, testimonianza dell'opera è la vera prova dell'amore".
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